Si impara come gestire un progetto o un gruppo di persone, come raggiungere gli obiettivi. Ma che addestramento si riceve su come gestire i manager ingestibili?
Può essere una lavata di capo abrasiva oppure una dolce-affilata stilettata: parole e azioni che creano frizioni, coinvolgono altri colleghi, tritano le motivazioni sul lavoro e minano la fiducia.
Ci sono persone che sono capaci di infliggere profonde ferite ai propri collaboratori, senza rendersi conto che in ultima analisi provocano una perdita di efficacia e produttività.
Chissà se qualcuno ha provato a calcolare quanto costa la tolleranza di questi atteggiamenti: in termini di assenteismo e abbassamento di produttività, per esempio.
Il minimo che bisogna fare è attrezzarsi per addomesticare la situazione.
Spesso si pensa: chi è aggressivo è pazzo o cattivo; lo si immagina sempre alla ricerca di come tormentare il prossimo. Ma spesso queste persone sono soprattutto spaventate.
Hanno la necessità di essere percepite come persone competenti e qualsiasi cosa minacci questa sensazione (e basta veramente poco) aumenta la loro ansietà e genera l'attacco.
Un'altro aspetto da considerare è che spesso non si rendono conto di essere aggressivi o comunque non sanno valutarne l'effetto e i danni. Sono come ciechi perché non sanno vedere oltre alle proprie emozioni.
Come si diventa così aggressivi? Spesso si tratta di abitudini contratte nell'infanzia, a scuola o nell'ambiente di lavoro stesso. E' un atteggiamento che appare loro vincente ed efficace.
Cosa bisognerebbe fare?
Beh, naturalmente se il capo in questione è un sottoposto si può intervenire con un training specifico: 1) fargli vedere cosa sta facendo (consapevolezza); 2) farlo preoccupare abbastanza da desiderare di cambiare; 3) offrirgli un aiuto.
Anche se è più facile a dirsi che non a farsi.
Ma se il capo ruvido è un proprio superiore, allora diventa veramente complicato.
Bisogna innanzi tutto sforzarsi di non attivare l'aggressività. In questo può aiutare la conoscenza. Si può imparare (sulla propria pelle) quali termini o modi di dire sono da evitare. Imparare a gestire i primi venti secondi può essere decisivo.
Fare bene il proprio lavoro ed evitare i confronti personali a tutti i costi.
Non pensare di poter disinnescare il bullismo del capo attraverso le proprie capacità di relazione interpersonale. I riferimenti emozionali o spirituali sono quasi sempre una trappola.
Poi, quando, nonostante le buone intenzioni, l'attacco parte, non fomentarlo con atteggiamenti di sfida. E' saggio ed è meglio lasciar perdere e ritornare sull'argomento successivamente nel modo il più possibile neutrale .
Gli psicologi direbbero che non bisogna cadere nella trappola carnefice-vittima. Bisogna rompere la stabilità latente di quel rapporto, sottraendosi alla lotta. Non pensare che è una fuga o una frustrante sottomissione. E' piuttosto una sana e lucida reazione che evita guai peggiori. Può essere utile in questo senso non spaventarsi e mantenere un contatto visivo con gli occhi dell'altro.
Personalmente qualche volta ci sono riuscito, qualche volta no.
Ispirato da un articolo su CIO Taming the Abrasive Manager di Laura Crawshaw