venerdì 30 marzo 2007

Perchè fallisce un sistema informativo

E' sempre imbarazzante dover ammettere che un proprio progetto informatico è fallito. Spesso passano degli anni prima di riuscire ad riconoscelo obiettivamente.
Perchè succede? Anche se doloroso è un argomento da affrontare perchè il ripetersi frequente può portare ad una sfiducia totale sulle persone e sui mezzi, tensione, instabilità, conflitti.

Le aree da considerare per una analisi delle cause deve comprendere:
  • la fase di progetto
  • la qualità dei dati
  • il costo del sistema
  • la gestione del sistema

Progetto
sono stati centrati gli obiettivi del business o ci si è concentrati solo sulla tecnica?
si è ottenuta una performance organizzativa migliore o la soluzione è compatibile con la cultura aziendale?
I tempi di utilizzo delle informazioni sono adeguati alle reali necessità?
Le informazioni sono fruibili facilmente?
L'interfaccia utente è adeguata?
Gli strumenti di sviluppo adottati sono quelli più adeguati?
erano state identificate tutte le funzionalità necessarie?


Dati
sono precisi?
sono coerenti?
sono completi?
sono aggregati/disagreggati nel giusto dettaglio?
sono organizzate correttamente le relazioni in funzione del business?


Costi
il costo dell'implementazione è compatibile con i risultati ottenuti?
è stato valutato il costo del rilascio in produzione?
quale impatto hanno avuto i ritardi non previsti?
è stato considerato l'impatto delle nuove release?
si è tenuto conto della manutenzione evolutiva e quanto incide?


Gestione
c'è un riscontro sul numero dei diffetti che si presentano?
il livello di disponibilità del sistema è quello aspettato o ci sono troppe instabilità?
sono recessarie frequenti rielaborazioni?
i tempi di risposta sono sufficientemente bassi?
se cambia l'organizzazione che flessibilità ha il prodotto per adeguarsi?

lunedì 26 marzo 2007

Conflitti in azienda

Analogamente a qualsiasi altra funzione direttiva, anche il CIO, si trova prima o poi a dover gestire un conflitto.
Qualche volta è parte in causa perchè le divergenze lo vedono coinvolto con un subalterno, con un superiore o con un pari livello.
Altre volte il conflitto avviene fra persone alle sue dipendenze, ma non per questo può considerarsi estraneo.
E' evidente però che le due situazioni pongono la persona in situazioni comportamentali molto differenti.

Quello del conflitto in azienda è uno di quegli argomenti in cui è bene non lasciarsi guidare dall'istinto, se non si vogliono creare guai ai quali bisogna poi lavorare per anni prima di riuscire a sanarli.

Istintivamente si è portati ad applicare alle situazioni che si determinano, i comportamenti privati maturati nella propria indole psicologica.
Qualche esempio a caso:
  • buttarsi nella mischia parteggiando per l'uno o per l'altro
  • soffocare ogni tentativo di tensione
  • ignorare il conflitto
  • esasperare le divergenze
  • predisporsi ad una veloce ritirata
  • rinvangare il passato
  • assumere un comportamento paternalistico
  • pretendere di risolvere con autoritarismo
Questo ed altro, non per una capacità selettiva del comportamento ma per predisposizione personale, a seconda che la persona sia estroversa o introversa, combattiva o accomodante.

Personalmente è un argomento che ha pesato moltissimo nella mia quasi trentennale esperienza di lavoro.
Le considerazioni che posso trarre oggi sono frutto di molti e clamorosi errori e mi spiace non aver capito da subito che l'apprendimento di una tecnica comportamentale avrebbe aiutato non poco.

Parto dai miei errori, perchè poi, a ben vedere, è da lì che si impara in tutti i campi della vita. I miei errori, quindi dipendono dalla mia personalità e non sono generalizzabili, comunque sono un punto di partenza per riassumere qualche linea.

  • Un amico in azienda può rappresentare un problema, perchè la confidenza e la stima complicano la gestione delle divergenze e se uno dei due è capo dell'altro, la distinzione dei ruoli può allentarsi e generare confusione nell'organizzazione
  • Incaponirsi sul diritto riguardo a una certa scelta tecnica, può impedire di vedere altre soluzioni che pur comprendendo la propria rappresentano un ampliamento vantaggioso.
  • Se si incontrano personalità disturbate, bisogna riconoscerle come tali. In questi casi i normali approcci dove si alternano aperture e prese di posizione non funzionano perchè le reazioni sono "malate". Io non ho saputo riconoscere una situazione del genere con un mio collaboratore e ho impiegato molte risorse prima di venirne a capo. Questo è un raro caso in cui dialogare ottiene effetti opposti a quelli sperati. Se possibile farsi aiutare da uno specialista.
  • Il conflitto è generato come conseguenza della lotta di potere fra due capi. Succede così per esempio: un amministratore delegato e un direttore generale sono regolarmente in contrapposizione perchè alla base delle divergenze c'è in palio il controllo delle decisioni. In questo caso l'ICT è un buon parafulmine dove scaricare le tensioni reciproche. La mia soluzione è stata la consapevolezza che "il problema non sono io", poi verificare attentamente le competenze gerarchiche dell'uno e dell'altro e muoversi in scrupoloso rispetto dei mandati; infine non schierarsi nel conflitto che non ti riguarda.
  • Superiori che fanno dell'aggressività uno standard nella convinzione di ottenere risultati migliori, non vanno affrontati di punta. Aspettare qualche giorno prima di esporre una alternativa, mai contrapponendola ma presentandola come logica conseguenza. Evitare quella particolare e insana stabilità del rapporto definito "vittima-carnefice".

Personalmente detesto le parole "conflitto" e "dialettica". Farei parte di quelli che come prima reazione cercano di evitare simili situazioni.
Ed effettivamente c'è un modo collaborativo per far emergere idee nuove e valorizzare le idee dei singoli. Richiede però partecipanti al gruppo fondamentalmente maturi. E' il caso in cui le relazioni interpersonali danno il migliore dei risultati possibili, dove l'uno tira fuori dall'altro il meglio in un circolo virtuoso positivo. E' realtà! Si può fare! L'ho provato più volte, ma bisogna prendere atto che spesso, anzi normalmente non è così. Allora il punto di partenza è accettare l'esistenza di conflitti come una cosa normale.

Di fronte al conflitto bisogna evitare le due reazioni opposte, scappare e lottare. Lì in mezzo ci sta gestire, ascoltare, comprendere (quindi stavi dicendo che...), separare le reazioni, placare gli impulsi.

Evitare di chiamare in causa una terza parte per risolvere la situazione vuol dire avere il controllo della situazione. Viceversa, "lo dico al capo" è segno di difficoltà. Ricorda tanto quando in braghette corte dicevamo: "lo vado a dire al mio papà che viene qui e ti picchia....". E poi bisogna vedere come è il capo...

L'utilizzo di lettere o peggio ancora di email nella gestione dei conflitti è pericolosa. Se da una parte si pensa che mettendo per iscritto la propria posizione si possa offrire maggiore possibilità di ragionamento è più forte la constatazione che un faccia-a-faccia consente di mettere in gioco tutti i nostri sensi e poter valutare l'atteggiamento non verbale (l'espressione del volto, la gestualità, l'atteggiamento del corpo), il tono di voce, la presenza e durata di silenzi, l'animosità e così via.

Comunque la chiave di volta è impedire che il conflitto diventi distruttivo.
In questi casi il lavoro tende a bloccarsi, le singole persone si "ritirano", sfuma la collaborazione.
Bisogna assolutamente evitare situazioni in cui c'è un vincitore e un perdente, portare quindi il gruppo, in qualche mariera, a risulti simili a quelli che si avrebbero con un atteggiamento spontaneamente collaborativo.
Gli attacchi personali sono una cosa deleteria, perchè incarogniscono e allontanano drammaticamente dai temi aziendali da affrontare.

Andare verso un conflitto costruttivo vuol dire per esempio, mettere delle semplici regole come avere un'agenda degli argomenti da trattare e rispettarla, far parlare uno per volta e favorire l'ascolto verbalizzando quello che è stato detto. Moderare gli interventi, sottolineare gli aspetti costruttivi e inquadrare quelli critici in una visione di miglioramento.
Stoppare digressioni su aspetti privati e caratteriali, impedire il sovrapporsi di voci o il chiacchericcio a bassa voce fra due componenti il gruppo.
Favorire un clima in cui tutti si sentano vincitori, ringraziando con convinzione anche il contributo di chi è andato in minoranza.



Ne parla
ComputerWorld News del 26/3/07 ; CIO: quattro consigli per 'battagliare' in azienda.
Suggerisco pure www.professionelavoro.net che ha varie newsletters dove sono trattati questi argomenti.
In rete corsi e libri sull' argomento sono abbondanti ma non mi sento di consigliarne uno specifico.


venerdì 23 marzo 2007

CIO: lavoro estremo?

Oltre agli sport estremi, ci sono anche i lavori estremi?
Sicuramente. Ma includere fra questi anche quello di direttore dei sistemi informatici, mi sembra più che altro una provocazione.
CIO Magazine pubblica un articolo e un quiz per misurare quanto sei estremo.
Il punto di partenza è basato sulla quantità di ore di lavoro per settimana e sulla tua personale percezione di appartenere alla categoria degli "estremi".
Io ho provato, ma ho capito subito di essere fuori gioco perchè lavoro meno di 60 ore/settimana (!) ( inoltre non ho barrato la casella che dice che la mia famiglia va a rotoli per colpa del lavoro).
Sono stato classificato insieme al 43% come "E lo chiami lavoro?", contro un 48% di "Maniaco del lavoro". Il rimanente si divide tra chi è "estremo come un gelato alla vaniglia" e chi è veramente "estremo" (5%).

Comunque le possibili motivazioni proposte per ritenere che il proprio lavorare è "estremo" sono le seguenti:

  • flusso di lavoro imprevedibile
  • ritmi veloci e scadenze rigide
  • eccessiva responsabilità dovuta a più compiti
  • attività di lavoro fuori dall'orario normale
  • necessità di dare disponibilità 24/7
  • responsabilità inerenti profitti e perdite
  • responsabilità di reclutamento e guida di persone
  • grande quantità di lavoro
  • eccessiva quantità di relazioni dirette da gestire
  • presenza fisica nel posto di lavoro per più di 10 ore al giorno.

Io ho sempre dubitato dell'effettiva necessità di passare le notti al lavoro.
Salvo periodi ben limitati, situazioni di emergenza o eventi eccezionali, spesso, dietro queste situazioni, si nasconde una lacuna organizzativa, una incapacità a delegare, una cattiva pianificazione, una fuga da altri problemi riguardanti la sfera personale (affettiva o psicologica).

giovedì 15 marzo 2007

L'illusione del CIO

Sul blog ho scritto qualche volta di informatica e strategia e in questi giorni ne parlo anche in un corso di formazione interna, nell'azienda per la quale lavoro.

Ma la realtà che sospettavo è confermata da una statistica condotta a livello mondiale. Le aziende in cui l'IT ricopre un reale ruolo strategico sono la minoranza.
E' vero che l'informatica è pervasiva ma le leve del potere stanno da un'altra parte.
Sono sicuro che
in Italia i risultati sarebbero ancora più sconfortanti.
La realtà che viene fotografata è che il CIO viene consultato, ma raramente gli viene lasciata l’ultima parola quando si tratta di decidere gli investimenti IT importanti. Quasi mai è lui a decidere come misurare le prestazioni dell’organizzazione IT. Crede di essere allineato alle esigenze e strategie di business molto più di quanto gli riconoscano i suoi colleghi del business.
Lo dice un’indagine dell’Economist (Intelligence Unit) e di BMC Software.
Insomma, riassumendo: gli vengono sbolognate tante
responsabilità, sulle quali in realtà non ha una reale autonomia decisionale e una effettiva possibilità di scegliere.

(Fonte
ComputerworldOnline )

giovedì 8 marzo 2007

Strategia IT nelle piccole e medie aziende

Nelle grandi organizzazioni i ruoli sono ben delineati e i processi raggiungono un buon grado di 'spersonalizzazione'.
E' questo uno dei motivi per cui l' identificazione e la definizione delle strategie informatiche segue un percorso gerarchico che discende dalle strategie del business.

Nelle piccole organizzazioni, invece, le interdipendenze sono forti, si verificano sovrapposizioni multiple dovute alla vicinanza dello staff IT con le aree del business.

Creare una strategia IT non è più semplice. Anche perchè raramente esiste una strategia di business formalizzata. Un responsabile IT, che abbia qualche buon proposito professionale di impostare il suo lavoro all'interno di una standardizzazione, deve essere in grado di ricavare la strategia del business in modo 'implicito', osservando quello che gli succede intorno e dialogando con i top-managers.
Ci vuole una buona dose di consapevolezza e flessibilità nel considerare il 'mercato', la natura del business e l'atteggiamento degli altri managers.
naturalmente neanche la strategia IT sarà 'formale' e tanto meno potrà spingersi su medio/lungo termine.

Di contro, le dimensioni ridotte dell' organizzazione semplificano l'analisi così come pure una catena di comando inevitabilmente più corta.

Comunque, decidere, per esempio, quali servizi mantenere in casa, e quali esternalizzare, passa per una analisi 'ad personam' delle risorse disponibili, del costo per modificare le conoscenze e dei tempi necessari.
Per il resto: priorità, relazioni con i clienti e con i fornitori, livelli di servizio, vanno comunque considerate come variabili per la preparazione di un piano.

Per esempio, una strategia IT a breve/medio termine può essere impostata leggendo il bilancio dell'ultimo esercizio e il budget per quello successivo.
Ci si può regolare, evitando di presentare piani di forte sviluppo in presenza condizioni generali che evidenziano un focus sul 'contenimento delle spese'. In questo caso meglio concentrarsi nella revisione dei contratti esterni, nella ottimizzazione delle risorse, al miglioramento delle performance dei servizi esistenti.
Analogamente, a fronte di evidente spinta all'espansione del fatturato, proporre miglioramenti ai sistemi di visibilità dei servizi da parte dei clienti, può essere ben valutato.

lunedì 5 marzo 2007

Controllo Posta Elettronica

Oggi il garante ha emesso delle linee guida relative al controllo delle email e della navigazione nelle aziende.

La strada da percorrere è quella della trasparenza, della prevenzione delle deleghe.

Io ho optato qualche mese fa per l'emanazione di un "Regolamento interno" che prendendo spunto dal D.Lgs 196/2003, definisce esplicitamente l'uso dei beni tecnologici aziendali considerando i vari aspetti come:

  • utenti abilitati
  • compiti dell'azienda
  • utilizzo degli strumenti informatici
  • utilizzo della rete locale, internet e relativi servizi
  • utilizzo della posta elettronica
  • backup dei dati
  • controlli e verifiche
  • provvedimenti disciplinari
Segue un estratto della linea guida odierna:

Le regole aziendali, il doppio indirizzo e-mail, il fiduciario, i siti non accessibili

I datori di lavoro pubblici e privati non possono controllare la posta elettronica e la navigazione in Internet dei dipendenti, se non in casi eccezionali. Spetta al datore di lavoro definire le modalità d'uso di tali strumenti ma tenendo conto dei diritti dei lavoratori e della disciplina in tema di relazioni sindacali.

...dall'analisi dei siti web visitati si possono trarre informazioni anche sensibili sui dipendenti e i messaggi di posta elettronica possono avere contenuti a carattere privato. Occorre prevenire usi arbitrari degli strumenti informatici aziendali e la lesione della riservatezza dei lavoratori”.

L'Autorità prescrive innanzitutto ai datori di lavoro di informare con chiarezza e in modo dettagliato i lavoratori sulle modalità di utilizzo di Internet e della posta elettronica e sulla possibilità che vengano effettuati controlli.

Il Garante vieta poi la lettura e la registrazione sistematica delle e-mail così come il monitoraggio sistematico delle pagine web visualizzate dal lavoratore, perché ciò realizzerebbe un controllo a distanza dell'attività lavorativa vietato dallo Statuto dei lavoratori.

Il provvedimento raccomanda l'adozione da parte delle aziende di un disciplinare interno, definito coinvolgendo anche le rappresentanze sindacali, nel quale siano chiaramente indicate le regole per l'uso di Internet e della posta elettronica.

Il datore di lavoro è inoltre chiamato ad adottare ogni misura in grado di prevenire il rischio di utilizzi impropri, così da ridurre controlli successivi sui lavoratori. Per quanto riguarda Internet è opportuno ad esempio:

  • individuare preventivamente i siti considerati correlati o meno con la prestazione lavorativa;
  • utilizzare filtri che prevengano determinate operazioni, quali l'accesso a siti inseriti in una sorta di black list o il download di file musicali o multimediali.

Per quanto riguarda la posta elettronica, è opportuno che l'azienda:

  • renda disponibili anche indirizzi condivisi tra più lavoratori (info@ente.it; urp@ente.it; ufficioreclami@ente.it), rendendo così chiara la natura non privata della corrispondenza;
  • valuti la possibilità di attribuire al lavoratore un altro indirizzo (oltre quello di lavoro), destinato ad un uso personale;
  • preveda, in caso di assenza del lavoratore, messaggi di risposta automatica con le coordinate di altri lavoratori cui rivolgersi;
  • metta in grado il dipendente di delegare un altro lavoratore (fiduciario) a verificare il contenuto dei messaggi a lui indirizzati e a inoltrare al titolare quelli ritenuti rilevanti per l'ufficio, ciò in caso di assenza prolungata o non prevista del lavoratore interessato e di improrogabili necessità legate all'attività lavorativa.

Qualora queste misure preventive non fossero sufficienti a evitare comportamenti anomali, gli eventuali controlli da parte del datore di lavoro devono essere effettuati con gradualità....


Roma, 5 marzo 2007